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30/04/11

Users first

Dopo il rilascio di Ubuntu 11.04 - nome in codice: "Natty Narwahl" - il fondatore di Canonical Ltd. e patron di Ubuntu, Mark Shuttleworth, parla dal suo blog.

Premesso che non ho ancora avuto occasione né di aggiornare alla versione 11.04, nè tantomeno di saggiare le decantate nonvità e meraviglie della nuova interfaccia utente denominata "Unity", alcuni passaggi del post di Shuttleworth mi hanno, come al solito, colpito:

"Users first, on free software. That has always been our mission"

"[...] in my view the future of free software is no longer just about inner beauty (architecture, performance, efficiency) it’s also about usability and style"

"In the design of Unity we chose to be both humble and bold. Humble, because we have borrowed consciously from the work of other successful platforms, like Windows and MacOS. We borrowed what worked best, but then we took advantage of the fact that we are unconstrained by legacy and can innovate faster than they can, and took some bold leaps forward"

"Ubuntu’s killer feature remains that community. The spirit of Ubuntu is about understanding that the measure of our own lives is in the way we improve the lives of others. Ubuntu has both economic and human dimensions: it’s unique, in my view, in bringing those together in a way which enables them to support one another"

"By welcoming all participants, and finding ways to accommodate and celebrate their differences rather than using them as grounds for divisiveness, we make something that’s bigger than all our individual dreams"


Hasta luego.


[Photo credits | photo by G. M. (The royal natural history vol. 3) [Public domain], via Wikimedia Commons]

29/04/11

Caduta palle

Avrei voluto scrivere delle cose intelligenti.

Avrei magari pensato di disquisire sugli eventi di Aruba e che stanno mettendo in difficoltà la rete.
 
Avrei potuto al limite anche parlare dell'addio di Masi e del saluto acidino manco poco di Santoro ieri sera ad Annozero.

Guardate: in un impeto di avventatezza, avrei anche potuto commentare il famigerato "Royal Wedding" (che un dio lo stramaledica!)...

Poi però ho visto questo:








e francamente non ce l'ho più fatta.

Mi è caduto tutto quello che poteva cadere, a partire da quelle cose che vedete nella foto di apertura del post.

Hasta luego.

[Photo credits | by Kevin Trotman - The_Rocketeer via Flickr]


27/04/11

25



Ecco, io il 25 aprile vorrei festeggiarlo attaccando una per una tutte quelle belle manine (chiaramente sottratte ad occupazioni più nobili, dall'onanismo alla dissodazione della terra) a quel carniere che vedete di fianco.

Ringrazio Wil per il suo post, dove menziona sia l'articolo di Giulia Innocenzi su l'Espresso sia il post di Gilioli sul suo blog.

A proposito: io il 25 aprile lo vivo come nelle parole di questi giovanotti, e lo dico senza ironia alcuna, ché questi sono spiriti giovani, altroché quelli lassù... (grazie ancora a Wil e al suo Nonleggerlo):
Carlo Smuraglia, 88 anni, partigiano, ha combattuto il nazifascismo.
"No, non è il paese che volevano quanti si sono battuti contro il fascismo e contro il nazismo, non è il paese che attraverso la sua carta costituzionale si garantiva un futuro di libertà, lasciandosi alle spalle le macerie dell’oppressione ... Dobbiamo far capire che non stiamo vivendo una giornata normale in un paese normale".
Massimo Rendina, 91 anni, partigiano, ha combattuto il nazifascismo.
"Questa Italia non assomiglia per niente a quella che volevamo, non c'è giustizia sociale, non c'è soprattutto la possibilità, per ogni persona, di potersi realizzare indipendentemente dal ceto, dalla famiglia di appartenenza".
Giovanna Marturano, 99 anni, partigiana, ha combattuto il nazifascismo.
"Questo non è il Paese per cui noi abbiamo lottato, durante la resistenza. Io ho 99 anni, ne ho fatti 20 sotto Mussolini, e non voglio morire sotto Berlusconi".

22/04/11

Nonna Rita

Come feci due anni fa (GULP!), e come spero di poter fare per tanti anni a venire, porgo i miei più sentiti e grati auguri alla Senatrice, che compie 102 anni.

In gamba, nonna Rita e continua ad insegnarci che "Meglio aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita" ! :-)

Hasta luego.





21/04/11

Sinonimi o contrari?

Io sicuramente sarò prevenuto, avrò delle difficoltà di relazione o di comprensione, oppure sarò vittima di una cultura deforme inculcatami in anni e anni di frequentazione delle scuole pubbliche, ma faccio davvero tanta tanta fatica ad accettare che questi due signori:

possano essere accomunati nella stessa categoria, comunemente e limitativamente definita "giornalisti", con questi altri "signori":











E non solo perchè Tim e Chris da ieri non ci sono più...

Hasta luego

20/04/11

Raccolta differenziata

Ieri sera sono stato ad una riunione indetta dal piccolo comune nel quale abito: si parlava dell'avvio, a brevissimo, della raccolta differenziata.

D'accordo, mi sono perso una puntata di Ballarò che deve essere stata elettrizzantissima, visti gli ospiti presenti in studio: "[...] il ministro dell’istruzione Maria Stella Gelmini, il vice segretario del PD Enrico Letta, il presidente della regione Piemonte Roberto Cota della Lega Nord, Flavia Perina di FLI,  il filosofo Dario Antiseri, il direttore del Tempo Mario Sechi, il giornalista di Repubblica Giovanni Valentini, il presidente della Ipsos Nando Pagnoncelli."). 
Dopotutto, però, sempre di rifiuti e di riciclaggio si parlava, quindi ho preferito andare a capire come sarà organizzata la raccolta differenziata nella mia zona, ed ho imparato, per esempio, che:
  • la raccolta sarà fatta con il metodo cosiddetto del "porta a porta spinto", che non è il marketing diretto di materiale pornografico effettuato da Bruno Vespa (per quello ci pensa già lui con la sua ben nota trasmissione su Rai 1); significa invece che il gestore del servizio raccoglierà i contenitori con le varie tipologie di rifiuto direttamente presso le nostre abitazioni
  • la "plastica" non è tutta uguale: a parità di materiale, infatti, viene accettato come riciclabile solo quello adoperato per "imballaggi e contenitori". In parole povere: anche se adoperano la stessa plastica per fare una bottiglia d'acqua, diciamo, ed un bicchiere usa e getta, la prima viene differenziata e riciclata, la seconda finisce nell'indifferenziata. E sapete perché? Perché il produttore di acqua (come della carne che acquistiamo al supermercato e così via) paga una tassa "preventiva" che dovrà essere adoperata proprio per lo smaltimento dell'imballaggio adoperato per il suo prodotto.
    In pratica, per la plastica non si ragiona più sulla base del "materiale" ma del "chi paga e chi no" (tra i produttori) per lo smaltimento........ Mah!
  • "in prospettiva la TARSU diventerà una TIA (??), cioè un'imposta puntuale: meno indifferenziata produco e meno pago": riporto le testuali parole di un responsabile del gestore del servizio che ha fatto questo scoop sul quale nemmeno il sindaco o gli assessori comunali presenti in forze hanno avuto nulla da ridire, precisare, obiettare.
Ma la cosa più importante che ho imparato è stata, purtroppo, una conferma di qualcosa della quale ero già convinto.
Questa, come numerose altre iniziative nel nostro Paese, può avere successo e quindi produrre benefici per l'intera comunità, se e solo se ognuno degli individui è disposto a rinunciare ad un pezzettino dei suoi privilegi, o comodità, o abitudini - chiamiamole come vogliamo.

Certo, non è detto che ognuno possa rinunciare ad un pezzettino esattamente uguale a quello di un altro (del resto il comunismo lo tiriamo in ballo solo quando ci fa (s)comodo, no?), ma se non si perde di vista per un attimo il proprio tornaconto personale, non si può contribuire a quello della comunità.

Qualcuno più acculturato del sottoscritto potrebbe discettare di resistenza al cambiamento; io più modestamente penso che rinunciando tutti a qualcosa di piccolo si può ottenere qualcosa di grande per tutti.
I segnali che ho visto e le domande che sono state fatte ieri sera, però, non mi hanno confortato troppo. Speriamo si tratti solo dell'innata vocazione a lamentarsi sempre e comunque, e poi a fare le cose che vanno fatte, piuttosto che della tentazione di mostrarsi più furbi (?) degli altri e trovare uno o più modi per svicolare alle regole.

Regole e responsabilità, due tra le cause più frequenti di allergie tra gli italiani :-/

Hasta luego.

[Photo credits: picture by xiaming | via Flickr]

19/04/11

Eminems



Wikipedia (la versione inglese, più completa di solito delle altre) dà questa definizione:
"Troll
In Internet slang, a troll is someone who posts inflammatory, extraneous, or off-topic messages in an online community, such as an online discussion forum, chat room, or blog, with the primary intent of provoking other users into a desired emotional response or of otherwise disrupting normal on-topic discussion. In addition to the offending poster, the noun troll can also refer to the provocative message itself, as in "that was an excellent troll you posted".

Bene, ora premesso che non intendo fare alcuna pubblicità ad un sito che esprime giudizi (se generosamente vogliamo chiamarli così) di questo tipo, dichiaro qui solennemente che, per quanto mi consta, in quel sito si effettua il trolling praticante ed ortodosso.

Hasta luego.

[Photo credits: http://en.wikipedia.org/wiki/File:Trollface.png from http://whynne.deviantart.com/gallery/#/d1mk5ec]

18/04/11

Fallo!

Come al solito, sono molto d'accordo con il post che Alessandro pubblica sul suo blog.
Talmente tanto d'accordo che, siccome anche io ho masticato un po' di calcio (soprattutto quello giocato, ché di quello parlato è facile riempirsi la bocca), oso addirittura estendere ancora la sua metafora.
Ovvero: è sacrosanto che occorre tenere
"la testa a posto, scompaginando la strategia degli avversari e rispondendo alle botte col gioco, ai calci con gli schemi, alle entrate a forbice con i passaggi di prima".

Ed è altrettanto vero che
"[...] chi abbocca alle provocazioni, statisticamente, finisce quasi sempre per perdere: non soltanto perché generalmente quelli che cominciano a menare hanno dalla loro la consapevolezza di essere più cattivi degli altri, ma soprattutto perché quel gioco l'hanno deciso loro, e assecondarlo equivale a cascare con tutte le scarpe nella trappola che hanno accuratamente preparato".

Però voglio dire che, quando decidi - per un motivo qualsiasi ma che a te pare giusto e in quel momento nulla e nessuno può distorglierti da quel proposito - di dargliene una pure tu, dopo tutte quelle che hai preso, allora ATTENZIONE!!!
Non commettere l'errore di dargli una botta piccola, o male assestata o, peggio ancora, maldestramente maliziosa, che possa offrirgli l'occasione di urlare verso l'arbitro:
"Arbitroooo!!! Guardi!! Aaaahhhh!"
e poi cadere per terra come una pera, attirando l'attezione del direttore di gara che non potrà che buttarti fuori.

No, non farlo.

Visto che:
- hai deciso di dargliene una
- hai messo in conto di essere buttato fuori
- le cose vanno fatte o per bene o per niente
allora pòndera bene il tuo investimento e assestagli una bella stecca forte e decisa, senza rompere ossa (possibilmente) ma facendo molto male e scegliendo con freddo e analitico discernimento la zona anatomica da colpire.
Poi vai.
Dai.
Affonda il colpo.

E prima ancora che quello cada per terra, prendi la via degli spogliatoi.

Se ce la fai, nascondendo il ghigno di soddisfazione.

Hasta luego.

[Photo credits: photo by enot_female - http://www.flickr.com/photos/ekaterina_photos/4428293019/sizes/m/]

16/04/11

Twitter under the gun?

Mediante un rimbalzo di feed, mi sono imbattuto in questo lungo, ponderoso e documentato post (più un saggio, direi) di Fortune sullo stato dell'arte di Twitter, curato da Jessi Hempel.

Oltre che un compendio di storia della stra-nota piattaforma di micro-blogging, il post analizza anche lo stato attuale di salute del network, mettendone in risalto alcuni segnali forse non troppo confortanti.

L'inizio del pezzo mette subito le cose in chiaro, in quanto al clima che circola in questi giorni nell'azienda:

"There's no shortage of drama at Twitter these days: Besides the CEO shuffles, there are secret board meetings, executive power struggles, a plethora of coaches and consultants, and disgruntled founders"

e tutto questo sembra
"[...] have contributed to a growing perception that innovation has stalled and management is in turmoil at one of Silicon Valley's most promising startups".

Anche certi trend ed atteggiamenti sembrano essere mutati:
"Just two years ago Twitter was the hottest thing on the web. But in the past year U.S. traffic at Twitter.com [...] has leveled off. Nearly half the people who have Twitter accounts are no longer active on the network [...] It has been months -- an eternity in Silicon Valley -- since the company rolled out a new product that excited consumers. Facebook's Mark Zuckerberg used to watch developments at Twitter obsessively; now he pays much less attention to the rival service"

Uno dei problemi principali appare essere
"[...] a board and top executive team that don't always appear to have control of its wide-ranging cast of characters, including founders who have attained near-celebrity status [...] headstrong and divisive managers, and investors used to getting their way".

Ad esser sinceri
"Twitter's founders didn't set out to build the next Facebook: Consumers turned it into a social phenomenon and kept signing on to see what it was about"

tant'è che:
"Unsure of what they'd created, the founders basically turned Twitter over to its users -- initially a bunch of techie early adopters -- and watched what they did with it. The result was a bit of anarchy: The crowd developed an unintuitive language all its own (the hashtags and retweets and other abbreviations all came from users); an ecosystem of independent "dashboard" companies such as TweetDeck and HootSuite emerged to help consumers manage their Twittering -- a development that would prove to be a mixed blessing for Twitter".

Comunque
"When [Williams] took over as CEO in 2008, Williams faced huge challenges. The company had just 20 employees, almost entirely engineers, and during the first six months of his tenure, Twitter jumped from 5 million registered accounts to 71.3 million"

e Williams
"migrated Twitter to a new data center and revamped its technology; moved headquarters as the company grew, landing in offices in downtown San Francisco; made six small acquisitions; and hired another 280 employees, including most of the current management team".

Però Twitter ha una particolarità rispetto ad altri "social-cosi":
"[...] you have to develop a feel for using Twitter. Many users never do, signing up to try it and then giving up. But for those who commit, it's addictive, entertaining, and cool. It's emerging as a real-time news reader, offering users a sampling of what's going on in the world. [...] to the uninitiated, the service is a bit of a mystery"

e questo fcontribuisce al fatto che il numero di utenti sia solo una parte (piccola?) della capacità di fare soldi:
"[...] garnering new users and boosting traffic to Twitter's website are only one piece of the moneymaking equation. Many believe that Twitter's search results, which increasingly show up on other sites, are its real jewels. For anyone striving to see events as they unfold, there are few better places to turn".

Per quelle "strane bestie" però che sono gli investitori pubblicitari, purtroppo, Twitter non è (ancora?) così appetibile come potrebbe; infatti
"[...] advertisers have limited options on Twitter. There are ad-sponsored tweets that appear at the top of search results [...] and relate to the nature of the inquiry. [...] Then there are promoted accounts, basically paid ads that sit in the right-hand corner of Twitter.com. Promoted Trends, the most expensive option of the bunch, can appear just once in a day and occur when a company pays to place its topic [...] among the most organically popular topics".

Tutto questo non vuol dire che la piattaforma non sia appetibile per gli altri giganti del settore; infatti
"Last fall Microsoft, Google, and Facebook itself all considered buying the company. Microsoft never made an offer, according to sources, but Facebook is believed to have offered $2 billion for Twitter, and Google, by far the most serious, offered as much as $10 billion"

nè che il management board non sia all'altezza, visto che annovera, accanto ai padri fondatori Evan Williams, Jack Dorsey e Dick Costolo personalità del calibro di
"[...] venture capitalists Peter Fenton, Fred Wilson, and Bijan Sabet, former Netscape CFO Peter Currie, former Doubleclick CEO David Rosenblatt, and Flipboard founder Mike McCue"

Ora, mentre tutti questi personaggi
"[...] disagree about a lot of things, according to many sources, [...] they all agreed not to sell Twitter"

Ma, e qui il mistero si un pochino più fitto, la company ha racimolato ulteriori 200 milioni di USD da Kleiner Perkins.
Che c'è di strano? Nulla, se non fosse per il fatto che
"[...]Kleiner partner John Doerr [...] is a board member at Google, which is a potential acquirer of Twitter, and a source of future employees".

E quando si tenne il board a gennaio, proprio Doerr fece capolino, senza sapere chi lo avesse invitato e senza che nessuno lo eispedisse a casa :-)

Come si dice in questi casi: chi vivrà, vedrà!

Hasta luego



[Photo credits: Photo by Adam Jones adamjones.freeservers.com [CC-BY-SA-3.0 (www.creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], attraverso Wikimedia Commons]

15/04/11

Vik

Quella che vedete qui a fianco è la foto riportata nell'ultimo post sul blog di Vittorio Arrigoni, che riporta la data del 13 aprile, ovvero il giorno prima che fosse assurdamente rapito ed ucciso da alcuni fondamentalisti islamici.

Il testo del post dice:
"4 lavoratori sono morti ieri notte per via del crollo di uno dei tunnel scavati dai palestinesi sotto il confine di Rafah. Tramite i tunnel passano tutti i beni necessari che hanno permesso la sopravvivenza della popolazione di Gaza strangolata da 4 anni dal criminale assedio israeliano. Dai tunnel riescono a entrare nella Striscia beni principali quali alimenti, cemento, bestiame (vedi foto).
Anche gli ospedali della Striscia si approvvigionano dal mercato nero dei tunnel.
Dall'inizio dell'assedio a oggi più di 300 palestinesi sono morti al lavoro sotto terra per permettere ad una popolazione di quasi 2 milioni di persone di sfamarsi.
E' una guerra invisibile per la sopravvivenza.
I nomi degli ultimi martiri sono: Abdel Halim e suo fratello Samir Abd al-Rahman Alhqra, 22 anni e 38 anni, Haitham Mostafa Mansour, 20 anni, e Abdel-Rahman Muhaisin 28 anni
".

La "guerra invisibile per la sopravvivenza" ha perso oggi un altro importante "combattente".
La cosa migliore che possiamo fare per lui, per i suoi cari e per chi proseguirà la sua opera, è onorare l'invito con il quale "Vik da Gaza City" chiudeva tutti i suoi post:

"Stay human".

Hasta luego, Vik.

P.S.: la stampa (anche estera) riferisce su questo assurdo assassinio in maniere a volte molto diverse (soprattutto in termini di sensibilità):

13/04/11

Going back to the Roots

Stimolato da un post di Stefano Quintarelli, assai sintetico :-)
"Sniff..."

ma che condivido, colgo l'occasione per riproporre anche qua questo filmatino vintage che mostra i due papà di UNIX (e del linguaggio CKen Thompson e Dennis Ritchie.

Noterete anche, verso la fine del primo minuto, un signore con maglione rosso dall'aria moooolto familiare ;-)

12/04/11

Dead and Alive

In questi giorni si sta alimentando un interessante dibattito sullo stato di salute dei blog (e dei blogger...?).
Non so ben ridire da dove abbia avuto inizio, sta di fatto che fino ad ora sono intervenuti in diversi:

Soprattutto gli ultimi due mi sono sembrati interventi interessanti ed argomentati (come sempre, del resto).
D'altra parte, è da un po' che si parla di questo argomento, ovvero almeno dal lontano (??) 2008: 

    Azzarderei l'ipotesi, quindi, che come spesso accade, parlare di un certo argomento e, in particolare, della *fine* di qualcosa, non fa altro che allontanarla, con un effetto apotropaico (che figata: da tanto volevo usare questa bellissima parola e finalmente ci sono riuscito! In realtà, tutto il post era finalizzato solo al soddisfacimento di un mio sordido istinto onanistico di auto-compiacimento - MUAHAHAHAHAH!!! ;-)

    A parte le battute, mi sembra una discussione *molto* interessante (non perché mi senta coinvolto in alcun modo, per carità: sarebbe come affermare che mi ritengo un blogger, e non vorrei cadere fulminato all'istante da qualche divinità); ergo, continuerò a seguirla soprattutto se verrà sviluppata con la competenza, l'analiticità e la ragionevolezza dei contributi che ho elencato più sopra (ma sicuramente me ne sarò dimenticati molti altri e di ottimi).

    My two cents? Io credo che l'ecosistema dei blog(ger) - e non blogstar, ché di quelli mi importa assai meno - continuerà a trovarsi come il famoso Gatto di Schrodinger in una sovrapposizione di stati "vivo" e "morto".

    Cosa significa questa affermazione, in particolare? E che ne so! Mica sono un blogger, io...

    Hasta luego.

    [Photo credits: from the blog http://icanhascheezburger.com - http://icanhascheezburger.com/2011/04/01/funny-pictures-schrodingers-cat-dead-and-alive/]

    08/04/11

    L'uomo che sussurrava ai Nàrvali

    Nel caso vi sfuggisse al momento, il narvalo è un mammifero della famiglia dei delfinatteri.

    In questo caso, però, il nàrvalo in questione è quello che dà il nome alla prossima release di Ubuntu, "Natty Narwahl" appunto.

    Ne parla in una breve intervista il patron di Ubuntu, Mark Shuttleworth.
    Che c'è di speciale in questo?

    Beh, niente, se non fosse che Shuttleworth, quando gli chiedono come sono i suoi rapporti con quelli di Debian risponde che sono
    "Quantum mechanical – Debian is a collection of more than a thousand individuals, and each of them has a different relationship with Ubuntu, so I would describe our overall relationship as a wave function rather than a vector"

    e a me piace uno che usa questo genere di metafore :-)

    Inoltre, ci sono altre interessanti informazioni; sui tablet:
    "I think they will be a serious form factor that’s widely used, alongside clamshell (keyboard/notebook) form factors, phones and TVs";

    sull'ecosistema del free software:
    "[...] each free software player has different constraints – different things are easy or hard for them. None of them are inherently more moral than the others [...]. So it’s weird that we spend so much energy on belittling different company approaches, rather than just getting on and enjoying the fruits";

    sugli investimenti che Shuttleworth sta effettuando:
    "Mainly companies that are helping to create sustainable economic development in Africa and other frontier markets. And companies that give software away ;-)";

    e, infine, sulla voglia di meritarsi la possibilità di ritornare nello spazio... ed oltre:
    "I would very much like to return. I feel I need to do something on Earth that I can be proud enough of to justify the great privilege of another orbital flight. And I’d like to go further [...]".

    Hasta luego.

    [Photo credits: photo by Carsten Tolkmit http://www.flickr.com/photos/laenulfean/2913482048/sizes/m/]

    04/04/11

    Amami, Vilfredo...

    UPDATE: siccome anche il New York Times si rende conto che "it turns out that counting followers is a seriously flawed way to measure a person’s impact on Twitter", allora propone di usare altri metodi per farsi un'idea dell'influenza di qualcuno su Twitter


    Cosa caspita ci fa Vilfredo Pareto (padre dell'omonimo ed onnipresente principio) tra il logo di Facebook e quello di Twitter??
    In realtà si trovano tutti e tre insieme in questo articolo che Massimo Mantellini ha pubblicato su Punto Informatico.

    L'intento dell'articolo è quello di fare il punto della situazione su Twitter, e sul suo stato dopo 5 anni dalla sua nascita.

    Wikipedia recita che Twitter, tecnicamente parlando
    "offers a social networking and microblogging service"

    Mantellini lo definisce come una:
    "[...] semplice colonna cronologica informativa in eterno aggiornamento così come è sempre stato fin dagli esordi nel 2006"

    menzionando la (presunta ?) volontà irrisolta di allontanarsi da tale stereotipo, per tendere però a non si sa bene cosa.

    Già questa prima asserzione mi infonde qualche dubbio, anche perché, semmai, proprio con gli avvenimenti di queste ultimissime settimane (vedi le rivolte egiziana e tunisina) direi che Twitter ha semmai rinforzato - e per fortuna - proprio quel ruolo di "cronologia del browser della cronaca" che gli si attaglia perfettamente.

    Del resto, sarà pur chiaro come
    "[...] Facebook sia chiaramente definibile come un luogo sociale di rete ampio e variegato",

    ma non è forse proprio in tale sua "ampiezza" e "varietà" che si trovano insieme le sue peculiarità positive ma anche quelle negative?

    Il mio personale percorso ha visto un utilizzo prima abbastanza regolare di Facebook, poi scemato a vantaggio di Twitter; alcune delle principali motivazioni riguardavano proprio quella che io personalmente avvertivo come una "defocalizzazione" di Facebook, un voler contenere tutto di tutti, con in più una forte dose di advertising invadente e di fatuità sempre incombente sui contenuti. La ciliegina sulla torta era rappresentata da una - a volte - difficoltosa distinzione tra contenuti socialmente condivisibili (in senso 2.0) e "sovrastruttura" nel senso gramsciano deteriore del termine (minchia, questa m'è uscita davvero grossa - scusate!!).
    In poche parole, io ho un'immagine di Facebook, allo stato attuale, sempre in bilico tra "Slacktivism" ed efficacia.

    La tesi principale, però, del pezzo di Mantellini, si focalizza più sull'analisi dell'utilizzo che gli iscritti di Twitter fanno - o farebbero.

    Il "maestro" :) si basa su uno studio di Yahoo!Research (scaricabile in pdf qui) e su un approfondimento di Business Insider.

    Sia dal primo sia dal secondo riferimento ciò che emerge è ben poco in linea con il principio di Pareto buon'anima (in base al quale il 20% delle persone dovrebbe produrre l'80% dei contenuti); infatti se ne evincerebbe che
    "oltre il 50 per cento dei messaggi propagati nel network sono prodotti da circa 20mila persone, lo 0,05 per cento degli iscritti. Il Principio di Pareto applicato ai social network (il 20 per cento delle persone produce l'80 per cento dei contenuti) viene insomma travolto e la quasi totalità degli iscritti a Twitter di fatto sembra non partecipare alla produzione di contenuti dentro il sistema".

    La domanda sorge spontanea:
    "A cosa serve una rete sociale così ampia se un numero così ampio di persone che la frequentano (se la frequentano) se ne sta in silenzio?"

    Già, a che serve?

    Io modestamente penso che, a parte tutto, nel social networking non siano molte le realtà nelle quali il principio di Pareto sia valido.
    Quale sia la ragione non lo so: posso pensare alla famosa "massa critica", che consente ad un social network di auto-sostenersi e non sgonfiarsi; oppure al carattere di libertà di partecipazione di tali ambienti, per cui la prima pulsione che ivi si manifesta è quella, tutta umana, del "free riding".

    Non vorrei però che Mantellini si sia fatto in qualche modo distrarre da una comparazione tra Twitter e Facebook, che, per quanto mi riguarda, è abbastanza improponibile: non tanto in termini di numeri di utenti (attivi o no), quanto piuttosto di "raison d'être" (e qui parte l'elenco puntato, ché se no che razza di post da ingegnere sarebbe?! ;-):
    • io credo ancora alla dichiarazione di intenti per la quale Twitter è una piattaforma di micro-blogging; Facebook mi pare qualcosa di diverso da questo;
    • è ancora arbitrario il numero che determina una dimensione di "utenti attivi" tale per cui una piattaforma possa legittimamente reclamare per sé "una propria riconosciuta centralità";
    • siamo sicuri che "Secondo queste valutazioni insomma Twitter è oggi una sorta di terra di nessuno"? E anche se così fosse, siamo almeno altrettanto sicuri che per una piattaforma di micro-blogging non sia proprio l'essere "terra di nessuno" la propria missione? Intendo dire che non essere vincolati ad una infra- e sovra-struttura troppo codificate da una parte consente di non essere incasellati troppo facilmente in uno stereotipo del web 2.0, dall'altra mantiene quella (estrema?) fluidità del sistema che ritengo sia uno dei punti di forza di Twitter, paradossalmente da sfruttare ancora di più.
    Infine questo credo sia uno dei punti nodali del tema: come anche Mantellini evidenzia correttamente, Twitter è
    "fortemente spinta dai media mainstream che si riferiscono continuamente ai messaggi delle star televisive e dello sport e dalle analisi sociologiche sulle emergenze del pianeta".

    Ecco, non vorrei che, come alle scuole elementari, ci si facessero i dispetti tra compagni "spingendosi" troppo...
    I cosiddetti media mainstream (TV, radio, giornali) sono alquanto ignoranti - genericamente parlando - sul tema, con menzione speciale per la TV.
    Avete mai provato a far caso all'enfasi - nel migliore dei casi al limite dell'allarmismo - con il quale si parla, su TV, radio, (certi) giornali dei social network?
    Ecco, tenendo presente questo atteggiamento, pensate davvero che una "spinta" esercitata su Twitter o qualsiasi altro network possa essere disinteressata o anche solo indirizzata verso la sua vera natura? 
    Mah, io sono scettico per natura... :-)

    Hasta luego.

    Ascoltate un cretino

    Ho appena appreso grazie a un paio di benemeriti (qua Wil e qua Fabio Chiusi) che il signore qui accanto (immortalato mentre sta mostrando la dimensione del proprio intelletto) si accingerebbe, nientepopòdimenoche a spiegarci

    "perché la presunta operazione trasparenza in realtà è un inganno contro la libertà e lo fa nel libro "Contro Assange, oltre Assange, in allegato domani con il Giornale".

    (Estiqaatsi!! pensa che è bene che tutti possono pubblicare libro dove dire quello che vogliono. Augh!)

    Trepidando (e tremando) nell'attesa, la chicca dell'articolo sul Giornale è rappresentata dall'essere stato il suo estensore Gian Maria De Francesco capace, senza sbafare il manoscritto a causa degli sghignazzi, di mettere insieme nella stessa frase il nostro maître-a-penser (Capezzone, meglio specificarlo) con un altro scrittorucolo da 4 soldi, che a malapena abbiamo sentito nominare noi che siamo l'elitè culturale della sinistra snobista:

    "Quello che Martin Heidegger definiva lo «sbilanciamento sulla visività» tipico della contemporaneità è, nell’analisi di Capezzone, il predominio della «versione ufficiale», della ridondanza e della ripetitività di un messaggio come giustificazione della sua verità intrinseca. L’inganno della Rete (e dunque di Wikileaks) è la legittimazione dell’errore".

    Applausi. Sipario.

    Hasta luego.

    [Photo credits: by Giuseppe Nicoloro - http://www.flickr.com/photos/giuseppenicoloro/]